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L’Associazione Sesamo Amministratori propone per il 2016 un corso di formazione iniziale per aspiranti amministratori di condominio. Il corso si svolge interamente in modalità telematica e prevede 9 Moduli formativi forniti attraverso apposita piattaforma didattica. Il corso, che si svolge ai sensi della L. 220/2012 e del D.M. 140/2014, ha una durata complessiva di circa 5 mesi con 80 ore di studio e approfondimento. Attraverso il percorso formativo, il partecipante acquisirà le competenze di base necessarie per avviarsi alla professione.
Oltre ai contenuti propri della materia condominiale, particolare risalto verrà dato ai nuovi ambiti che coinvolgono l’amministratore, come la mediazione per la risoluzione delle controversie e i temi ambientali correlati all’edilizia.
L’effettività dell’apprendimento è garantita dallo svolgimento di test ed esercitazioni, corrette dai docenti, previste al termine di ogni modulo. I moduli formativi online comprendono video-lezioni, slides integrative e materiali di approfondimento. Il corso prevede un esame finale scritto e orale in presenza.
Attualmente il D. Lgs. 102/2014 - Attuazione della direttiva 2012/27/UE dispone l’obbligo sia della termoregolazione che della contabilizzazione del calore.
L’art 9 del D. Lgs. 102/2014, entrato in vigore il 19.07.14, obbliga infatti tutti gli edifici sul territorio nazionale (condomini ed edifici polifunzionali riforniti da una fonte di riscaldamento o raffreddamento centralizzata o da una rete di teleriscaldamento o da un sistema di fornitura centralizzato che alimenta una pluralità di edifici, quindi a prescindere dal numero di unità immobiliari servite), ad adottare i sistemi di termoregolazione e contabilizzazione entro il 31 dicembre 2016, pena l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie da parte delle Regioni (o delle Province Autonome di Trento e Bolzano), sanzioni che sono previste dal D. Lgs. 102/14 (art 16) sia per la mancata installazione dei dispositivi di cui sopra, che per la ripartizione delle spese del servizio di riscaldamento non conforme a quanto previsto dalla stessa legge, che rimanda alla norma tecnica UNI 10200 e successivi suoi aggiornamenti.
Nella norma tecnica UNI 10200, nella sua ultima versione, si prevede che una quota degli oneri di riscaldamento si paga a consumo di calore volontariamente prelevato dall'impianto ed una quota si paga invece a millesimi di potenza installata nell’unità immobiliare, come disponibilità del servizio di riscaldamento.
La spesa ripartita a millesimi, suddivisa per millesimi di potenza termica installata, è composta dalla spesa per la conduzione dell’impianto di riscaldamento, dalla spesa per il servizio di contabilizzazione, dalle eventuali quote di ammortamento per gli investimenti effettuati nell’impianto.
La spesa relativa all’energia termica utile si ripartisce invece considerando la stima delle spese connesse alle dispersioni energetiche, ripartita secondo i millesimi di fabbisogno ideale.
La spesa relativa all’energia termica utile, sottratta la quota dovuta alle dispersioni è ulteriormente ripartita tra i condomini secondo i dati rilevati dalle sonde presenti nei singoli alloggi.
L’applicazione corretta della normativa vigente tiene quindi conto della circostanza che vi possono essere consumi “involontari” dovuti alle caratteristiche del sistema impianto/involucro edilizio.
Per decidere la ripartizione della spesa, adottando le tabelle redatte dal tecnico competente (non è più possibile predeterminare a priori la percentuale di spesa tra quota fissa e quota a consumo), l’assemblea delibera con il voto favorevole della maggioranza dei condomini presenti in assemblea che rappresentino almeno 500 millesimi: si veda al riguardo il nuovo testo del comma 5 dell’art 26 della L 10/91, modificato dalla Legge di Riforma del condominio.
Nel caso in cui l'assemblea deliberi l'applicazione di un criterio di ripartizione della spesa di riscaldamento che non tenga conto delle indicazioni della normativa tecnica UNI, si può ritenere che la delibera, pur assunta correttamente a maggioranza, potrebbe essere oggetto di impugnazione.
Le norme tecniche, infatti, sono volontarie, ma diventano obbligatorie in virtù del richiamo in provvedimenti normativi nazionali e locali.
La normativa UNI è richiamata in questo caso nel D.P.R. 59/09 (attuazione dell'art. 4 del D. Lgs. 192/2005): il comma 11 dell’art 4 di tale decreto specifica infatti che per le modalità di contabilizzazione si fa riferimento alle vigenti norme e linee guida UNI.
La norma UNI è richiamata nelle normative regionali ove esistenti e da ultimo è richiamata anche nel D. Lgs. 102/14.
Tale norma dispone infatti espressamente che per il riparto della spesa (art 9 comma 4 lettera d), “l'importo complessivo deve essere suddiviso in relazione agli effettivi prelievi volontari di energia termica utile e ai costi generali per la manutenzione dell'impianto, secondo quanto previsto dalla norma tecnica UNI 10200 e successivi aggiornamenti”.
A sua volta, la norma UNI nella sua più recente evoluzione considera la necessità di procedere alla stima del consumo involontario dovuto alle dispersioni della rete di distribuzione; questa stima può essere fatta seguendo le specifiche tecniche della norma UNI/Ts 11300 sulle prestazioni energetiche degli edifici, ma la norma UNI 10200 consente in alternativa un calcolo semplificato con l'utilizzo di coefficienti che attribuiscono valori prestabiliti al consumo involontario.
Per quanto riguarda invece la spesa per l’installazione del sistema di contabilizzazione, deliberata dall’assemblea, come pure per l’esecuzione di tutte le opere di adattamento dell’impianto idraulico della centrale termica necessarie all’installazione del sistema di contabilizzazione, la spesa va ripartita su base millesimale “pura”, senza considerazione del numero dei corpi scaldanti, quindi servendosi della tabella millesimale “proprietà” e non dell’eventuale apposita tabella dedicata alla ripartizione delle spese di riscaldamento.
Una considerazione conclusiva: sebbene la corretta applicazione della norma UNI 10200 preveda la considerazione delle norme UNI/Ts 11300 (che sono quelle che descrivono il metodo di calcolo per l'elaborazione dell'APE – Attestato di Prestazione Energetica), questo non significa che sia obbligatoria la redazione dell'APE al di fuori dei casi in cui ciò sia previsto dalla normativa.
L’Associazione Sesamo Amministratori propone anche per il 2016 un corso di aggiornamento professionale per amministratori di condominio. Il corso si svolge in modalità telematica e prevede 5 Moduli formativi forniti attraverso apposita piattaforma didattica. Il corso, che si svolge ai sensi della L. 220/2012 e del D.M. 140/2014, ha una durata complessiva di 15 ore e segue il programma deliberato dal Comitato Tecnico Scientifico della nostra associazione nel rispetto delle indicazioni ministeriali. I moduli formativi online sono di facile consultazione e comprendono lezioni-video, slides integrative e materiali di approfondimento, basati su argomenti specifici scelti dal team dei docenti del corso per la loro attualità e peculiarità, all’interno del programma ministeriale per l’aggiornamento professionale degli amministratori. Il corso, che prevede un esame finale in aula, permette di adempiere all'obbligo di aggiornamento annuale periodico per gli amministratori di condominio.
MASTER GESTIONE E VALORIZZAZIONE |
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Sesamo Interprovinciale di Treviso organizza l'evento "L'ASSEMBLEA CONDOMINIALE - una esperienza dal vivo -"
L'incontro si terrà venerdì 27 NOVEMBRE 2015 – ore 15.00 presso Istituto Zanotti - Via C. Battisti 37 - Treviso
La partecipazione garantisce per gli iscritti a SESAMO n.3 crediti formativi.
Di seguito la locandina dell'evento > CLICK
Un buon risultato, sul piano della comunicazione, lo si ha avuto con la partecipazione di SESAMO all’Assemblea Nazionale di ASPPI che si è tenuta a Torino nei giorni 13-14-15 Novembre u.s. ed è servita per ripercorrere le tappe salienti intraprese da SESAMO a partire dal Congresso del 2013: in tale occasione non è mancato l’interesse di alcuni dirigenti ASPPI per programmare incontri finalizzati ad una più diffusa presenza sul territorio della nostra Associazione.
Per vedere l'intervista collegarsi al sito dell'UNI.
Per vedere il video collegarsi al canale YouTube dell'UNI.
L'esecuzione di opere sulle parti comuni di un edificio in condominio ad opera di un condomino affronta sempre un doppio percorso: uno riguarda il rapporto tra i privati proprietari delle parti comuni, l'altro riguarda il rapporto con la Pubblica Amministrazione.
Non tutte le opere possono infatti essere eseguite senza titoli abilitativi: molti interventi edilizi minori richiedono solo la presentazione di una Comunicazione di Inizio Lavori - C.I.L., altri più impegnativi richiedono una Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata - C.I.L.A., altri ancora una Segnalazione Certificata di Inizio Attività - S.C.I.A., altri la Denuncia di Inizio Attività - D.I.A. , altri ancora richiedono un Permesso di Costruire – P.D.C. .
Dal punto di vista del rapporto tra I condomini vale il principio per cui ogni condomino è comproprietario dei beni comuni e quindi potenzialmente può giovarsene per il miglior godimento della propria unità immobiliare: così infatti l'art. 1102 Cod Civ in materia di comunione, ma applicabile anche al condominio.
Esistono naturalmente alcuni limiti: considerando sia l'art 1102 Cod Civ che l'art 1120 Cod Civ, si può dire che ogni intervento che abbia un impatto sulle parti comuni eseguito a cura e spese di un condomino può essere messo in atto se:
· non si verifica un cambio di destinazione del bene comune;
· è consentito a tutti i condomini il pari uso del bene condominiale;
· non è messa in pericolo la sicurezza e la stabilità dell’edificio, né alterato il decoro architettonico del fabbricato.
Non sono mancate letture rigide dei principi di cui sopra, che, a loro volta, non hanno mancato di ostacolare il diritto dei condomini all'uso legittimo dei beni comuni.
La Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 14107 del 03.08.2012 ha chiaramente fatto il punto sulla situazione giuridica in questi casi, prendendo una posizione apertamente liberale, affermando espressamente che serve una rilettura dell'articolo 1102 Cod Civ "che sia quanto più favorevole possibile allo sviluppo delle esigenze abitative", con uno sviluppo che "mira soprattutto a moderare le istanze egoistiche che sono sovente alla base degli ostacoli frapposti a modifiche delle parti comuni".
La Corte in questa sentenza precisa che non è accettabile fare riferimento ad un concetto di pari uso della cosa comune intesa unicamente "come veicolo per giustificare impedimenti all'estrinsecarsi delle potenzialità di godimento del singolo". Quindi se gli altri condomini non subiscono reali sacrifici, "non si può proibire la modifica che costituisca uso più intenso della cosa comune da parte del singolo, anche in assenza di un beneficio collettivo derivante dalla modificazione".
La posizione della Corte di Cassazione è quindi quanto mai chiara e favorevole.
Naturalmente resta valida l'eventuale regolazione più stringente contenuta nel Regolamento di condominio contrattuale, che potrebbe stabilire divieti o porre limiti, come spesso accade.
Talvolta, infatti, vengono considerate opere specifiche che vengono vietate in maniera selettiva, talvolta invece si leggono divieti generali di eseguire “opere” o realizzare “manufatti” sulle parti comuni, altre volte le iniziative del singolo vengono sottoposte al preventivo vaglio dell'assemblea: in quest'ultimo caso, se le opere di interesse non consistono in “innovazioni” nel senso tecnico – giuridico del termine, la maggioranza per l'approvazione è quella minima considerando la riunione in prima o seconda convocazione.
In assenza di esplicite norme contenute nel regolamento di condominio, quindi, ogni condomino può assumere l'iniziativa di eseguire opere che in qualche modo riguardino le parti comuni: naturalmente, nel caso in cui si traducano in un miglioramento della parte comune non ha comunque diritto di pretendere alcun rimborso dal condominio (art 1134 Cod Civ).
Il rapporto con la Pubblica Amministrazione è invece decisamente più complesso, perché tante volte gli Enti Locali pretendono che l'interessato dimostri di aver conseguito una formale approvazione dall'assemblea quando anche tale approvazione non sarebbe prevista né dalla legge, né dal regolamento di condominio.
Sul punto la Giurisprudenza del Consiglio di Stato non è apparsa favorevole.
In tempi recenti, infatti, il Consiglio di Stato (Sez. V, sentenza del 15.3.2001 n. 1507) ha avuto occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili.
In proposito ha chiarito che non è seriamente contestabile che, nel procedimento di rilascio della concessione edilizia, l’amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, trattandosi di una attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati (nel caso in esame concernenti la legittimità - o non - della esecuzione, ai sensi dell’art. 1102 Cod Civ, delle opere edilizie che interessano porzioni condominiali comuni), ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente. Ha, pertanto, concluso che, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all’intervento progettato, la scelta dell’amministrazione di assentire comunque le opere (in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento. (sentenza di TAR Campania Sez II del 07.06.2013 n. 3019).
Nel corso del tempo si è però affermata una giurisprudenza decisamente più favorevole.
Il TAR Veneto Sez II (sentenza del 04.04.09 n. 1198) e il TAR Abruzzo, L’Aquila, Sez I (sentenza del 24.03.09 n. 221) sostengono che “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, sicché l’interessato è tenuto a fornire al Comune prova del suo diritto, ma quest’ultimo non può e non deve svolgere sul punto verifiche eccedenti quelle richieste dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza, in relazione alle concrete circostanze di fatto, tanto più che, come lo stesso art. 11 del DPR 380/2001 specifica, il permesso di costruire non incide sulla proprietà o altri diritti reali e non comporta limitazione dei diritti dei terzi”. (in TAR Veneto Sez II sentenza del 04.04.09 n. 1198).
“Non è infatti necessario richiedere il previo assenso del condominio interessato ovvero degli altri condomini, in caso di realizzazione di un'opera da parte di un singolo sulle parti comuni di un edificio se l’opera medesima sia strettamente pertinenziale alla sua unità immobiliare; infatti il singolo condomino, ... può ottenere a proprio nome la concessione edilizia per un'opera da realizzare sulle parti comuni di un edificio senza chiedere il consenso degli altri condomini, sempre che ... le opere siano strettamente pertinenziali all'unità immobiliare … . Pertanto in tali casi il condòmino può apportare al muro perimetrale, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modificazioni che consentano di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condòmini, ivi compreso l’inserimento nel muro di elementi ad esso estranei e posti al servizio esclusivo della sua porzione, purché non impedisca agli altri condòmini l’uso del muro comune e non ne alteri la normale destinazione con interventi di eccessiva vastità” (in TAR Abruzzo, L’Aquila, Sez I sentenza del 24.03.09 n. 221).
La nuova recente sentenza del TAR LOMBARDIA Sez. I Brescia (sentenza del 02.12.2014 n. 1308) aggiunge ulteriori spunti.
In tale sentenza si legge che “i titoli abilitativi edilizi, da un lato si rilasciano ai sensi dell’art. 11 comma 3 T.U. 6 giugno 2001 n. 380, salvi i diritti dei terzi, e quindi dovrebbero in linea di principio prescindere dai titoli civilistici dei terzi stessi, anche se in astratto suscettibili di paralizzarne l’efficacia ... Dall’altro lato però, i titoli stessi impongono ai sensi dell’art 11 citato comma 1 all’amministrazione che le rilascia di verificare la legittimazione del richiedente, e con essa, si dovrebbe ritenere, anche la sussistenza di diritti di terzi che la escludano. La contraddizione potenziale - secondo la giurisprudenza, per tutte già TAR Liguria 11 luglio 2007 n. 1376 - si compone applicando il principio di non aggravamento del procedimento. In tali termini, un titolo confliggente con i diritti di terzi sarà legittimo se l’amministrazione non poteva riconoscerne l’esistenza in base ai soli atti del procedimento forniti dalla parte interessata; sarà invece illegittima se dell’esistenza del vincolo l’amministrazione aveva motivo di sospettare. Così nel caso di specie, dato che negli edifici in condominio per definizione a fronte dell’opera del singolo condomino vi sono i diritti degli altri condòmini, e quindi correttamente il Comune li ha considerati;
La sentenza prosegue affermando:
“In generale, per l’art. 1102 Cod Civ comma 1, “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa”. Nel caso particolare che qui rileva, di installazione di una canna fumaria che interessi anche la facciata in corrispondenza delle proprietà di altri condòmini, costante giurisprudenza - Cass. Civ. sez. II 11 maggio 2011 n. 10350, Trib. Roma sez. XII 28 luglio 2002, Trib. Milano 26 marzo 1992 e Trib Trento 16 maggio 2013 n. 432 - non nega a priori la possibilità di effettuare l’opera senza l’assenso di costoro; richiede però, perché se ne possa prescindere, che in concreto non siano pregiudicati l’armonia e il decoro della facciata in questione. Di conseguenza, il provvedimento impugnato, che motiva soltanto con riguardo alla mancanza della “piena titolarità a intervenire” … derivante dal diniego degli altri condòmini, e non apprezza l’impatto dell’opera sulla facciata interessata, risulta illegittimo e va annullato”.
Quindi la PA competente potrebbe/dovrebbe valutare la presenza del consenso dei condomini alle opere di interesse del singolo, ma se tale consenso manca non dovrebbe negare a priori la possibilità all'interessato di realizzare l'opera, bensì deve verificare se potrebbero esistere validi motivi di diniego in base alle caratteristiche intrinseche dell'opera.
Si tratta di una posizione articolata, effettivamente di buon senso, ma che non si caratterizza per dare certezza al soggetto interessato ai lavori: la sentenza però penalizza la Pubblica Amministrazione che ha negato l'autorizzazione facendo valere motivazioni pretestuose e generiche.
Considerando nuovamente il rapporto con i condomini, la Giurisprudenza civile (Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1978, n. 2816) ha avuto modo di precisare che “Il diritto del condomino di usare le parti comuni dell'edificio, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne parimenti uso (artt. 1102 e 1139 Cod Civ), implica per questi ultimi l'obbligo di comportarsi in modo da non rendere impossibile, e ingiustificatamente più gravoso, l'uso del singolo e così il dovere di quell'attiva cooperazione necessaria per l'uso del condomino. Pertanto, qualora un terzo estraneo alla comunione (in questo caso la Pubblica Amministrazione – nota dell'autore), ma di cui il condomino debba necessariamente avvalersi per la sua posizione di monopolio o supremazia, contesti il diritto del condomino di fare un certo uso legittimo della cosa comune senza il preventivo nulla-osta degli altri condomini, costoro non possono rifiutarne il rilascio, sempreché il rifiuto non risulti in concreto giustificato da un ragionevole motivo.”
Nel caso comunque in cui non si voglia affrontare l'incertezza di un provvedimento di diniego della Pubblica Amministrazione, in presenza di una richiesta di consenso assembleare ai lavori, di quale maggioranza ho bisogno? La maggioranza dipende strettamente dal tipo di intervento: se non si tratta di una innovazione (ovvero la parte comune eventualmente interessata dall'intervento non muta la propria tipica destinazione d'uso), allora è sufficiente la minima maggioranza possibile a seconda della riunione in prima o seconda convocazione. In questo ultimo caso si tratta quindi del voto favorevole della maggioranza dei presenti in assemblea che rappresentino almeno 333/1000